Angolo di mister Ezio 2

"ALLENARE LA PRESTAZIONE"


Considerazioni spicciole, rapide e concise, riguardanti la settimana di coppa di alcune squadre italiane giocate nel mese di novembre 2025, oltre ad altre riflessioni e pensieri connessi al mio metodo... 

BUONA LETTURA












Mi sono sempre domandato quanto sia realmente decisivo il ruolo dell’allenatore durante una stagione calcistica. Non solo nella gestione del gruppo e nella capacità di creare un ambiente coeso e motivante, ma anche nella competenza di influenzare le dinamiche di gioco e incidere in maniera diretta sulla partita reale. Questa riflessione diventa ancora più interessante se consideriamo il calcio non come un semplice insieme di regole e strategie, ma come un sistema imprevedibile e complesso, dove ogni elemento, ogni decisione e ogni dettaglio giocano un ruolo specifico e imprescindibile. In questo scenario, il mister assume un ruolo centrale, grazie alla sua preparazione, alla sua visione tattica e alle sue competenze gestionali, che possono fare davvero la differenza nei momenti chiave della stagione. Non ho la pretesa di fornire risposte definitive o verità assolute, poiché il calcio è un argomento vasto, sfaccettato e in continua evoluzione. Il mio obiettivo è stimolare una riflessione critica, ponendo domande che non rappresentano un punto di arrivo, bensì un punto di partenza per un dibattito più ampio e articolato. Vorrei che questa riflessione coinvolgesse prospettive diverse, arricchendo e ampliando la comprensione collettiva di uno sport tanto semplice nella sua forma  e visione quanto estremamente complesso e articolato nelle sue dinamiche interne. Ad esempio, ha ancora senso parlare di “ruoli” specifici, nel calcio moderno?, con schemi rigidi e posizioni immutabili che sembrano appartenere a un passato ormai superato? Oppure sarebbe più opportuno concentrarsi su abilità, capacità,  funzioni e competenze trasversali che i giocatori possono sviluppare e affinare in partita, adattandosi con intelligenza alle esigenze di un gioco sempre più intenso, dinamico e imprevedibile, fatto di continui cambiamenti? Oggi il calcio richiede una flessibilità mentale e fisica unite a una spiccata adattabilità, qualità che stanno rapidamente diventando indispensabili non solo per i giocatori, ma anche per gli allenatori, che a loro volta devono evolversi costantemente. Sempre più spesso si sente parlare di tecnici che puntano su giocatori abili nell’uno contro uno, ma questa caratteristica, se considerata essenziale, non dovrebbe forse essere contenuta nel bagaglio cognitivo e tecnico di ogni giocatore contemporaneo? E se così non fosse, perché mai? Se questa ipotesi fosse valida, gli allenamenti dovrebbero avere un taglio fortemente cognitivo e situazionale, un sistema che però ad oggi sembra non essere ancora del tutto diffuso o applicato in maniera sistematica... È proprio qui che noto una lacuna significativa: la preparazione cognitiva e situazionale viene spesso sottovalutata o trascurata, nonostante sia fondamentale per affrontare con successo un calcio in costante evoluzione e sempre più intenso e dinamico. In partita, per esempio, capita frequentemente di vedere falli evitabili e comportamenti dettati da scarsa conscenza del contesto e delle dinamiche. Prendiamo il caso dell’intervento che ha subito Hakimi del PSG contro il Bayern Monaco: un episodio che si sarebbe potuto evitare con una maggiore  gestione emotiva. Ma questi falli sono davvero il risultato di pura frustrazione o di tatticismi esasperati? Oppure dipendono, in gran parte, da una carenza nell’allenamento cognitivo e nella lettura delle situazioni? Credo fermamente che il calcio stia gradualmente evolvendo verso una dimensione più legata alla comprensione profonda del gioco. Di conseguenza, anche gli allenamenti dovrebbero essere ripensati e progettati per rispondere alle reali esigenze di uno sport che non è più solo una questione di fisicità, ma anche di intelligenza e consapevolezza mentale. Il dibattito sull’importanza del mister rispetto ai giocatori mi ricorda il classico quesito: è nata prima la gallina o l’uovo? Non esiste una risposta univoca o definitiva. Tuttavia, è evidente che entrambi sono fondamentali, ma in modo complementare e interdipendente. Giocatori e allenatori devono saper collaborare in sinergia, integrando le loro competenze per raggiungere il massimo potenziale possibile. Il calcio è un sistema complesso e delicato che richiede equilibrio, disponibilità, elasticità, collaborazione e massimo rispetto fra le due parti.  Avere undici giocatori di altissimo livello rappresenta senza dubbio un vantaggio, ma cosa significa davvero essere bravi nel calcio moderno? Non basta più una preparazione fisica eccellente, come si pensava in passato. Oggi, è necessario esplorare aspetti meno evidenti, ma altrettanto cruciali, come la capacità di interpretare il gioco, di prevedere le mosse dell'avversario e di adattarsi rapidamente a situazioni inaspettate. Un calciatore veramente completo non è solo fisicamente dotato, ma è anche dotato di un’intelligenza tattica e cognitiva che lo rendono in grado di affrontare qualsiasi sfida con lucidità e determinazione. Per lungo tempo si è creduto che la preparazione fisica fosse la chiave unica e indiscutibile del successo, ma questo approccio ha spesso portato a infortuni, a cali di rendimento e a una scarsa resilienza psicologica. Ormai è evidente che il successo si basa su un equilibrio delicato fra mente e corpo, un aspetto che viene spesso sottovalutato. Gli allenamenti cognitivi, purtroppo, restano frequentemente, nei metodi di allenamento tradizionali, incompleti e poco strutturati, quando invece dovrebbero rappresentare il fulcro di una preparazione realmente moderna ed efficace. Quando sento dire che “si gioca troppo,” mi chiedo se non sia solo un alibi. Il calcio è competizione, confronto, passione, adrenalina. La partita è il cuore pulsante di questo sport, il momento della verità, dove tutto si decide.  Di recente ho ascoltato un’intervista a Jannik Sinner, il numero uno del tennis italiano, in cui raccontava che, nonostante i duri allenamenti quotidiani e le pressioni continue, non vede l’ora di scendere in campo per giocare. Questo spirito dovrebbe essere d’ispirazione anche per il calcio: alla fine, è la prestazione in campo che fa davvero la differenza. Non ho mai visto giocatori entrare in campo con l’intenzione di perdere, ma ho notato molti poco convinti, demotivati o privi della determinazione necessaria. È tempo di smettere di considerare l’esonero dell’allenatore come la soluzione universale e immediata ai problemi di una squadra. Al contrario, le società e i presidenti  dovrebbero supportare i mister nei momenti difficili. La bravura di un allenatore si misura soprattutto quando le cose non vanno per il verso giusto: motivare i giocatori, trasmettere fiducia e guidarli verso una reazione positiva sono qualità imprescindibili. Non credo negli allenatori autoritari, perché impongono regole senza costruire fiducia. I migliori sono autorevoli, e l’autorevolezza si costruisce con l’esperienza, lo studio e un costante aggiornamento. Il futuro del calcio appartiene a chi sa evolversi e adattarsi, unendo conoscenze tecniche, capacità empatiche e abilità relazionali per creare un ambiente di crescita condivisa e stimolante e questo vale anche per il mondo dilettante. Allenatori capaci di leggere le partite, fare i giusti cambiamenti tattici e conoscere profondamente ogni singolo giocatore sono quelli che fanno davvero la differenza. Parlando degli avvenimenti più recenti, questa settimana ci sono stati tre cambi di allenatori: Vanoli alla Fiorentina, De Rossi al Genoa e Spalletti alla Juventus. Pur sapendo che fare previsioni è sempre rischioso, credo che Spalletti possa segnare l’inizio di un ciclo importante per la Juventus, proprio come accaduto con il Napoli di Conte o il Milan di Allegri in passato. De Rossi potrebbe incarnare perfettamente l’ambiente passionale e unico del Genoa, a patto che riceva il supporto necessario dalla società. Per quanto riguarda la Fiorentina, invece, temo che la situazione sia più complicata: fra le dimissioni del direttore sportivo, un presidente distante e poche idee tattiche chiare, come evidenziato nell’ultima partita in Conference League, vedo grosse difficoltà per Vanoli e rischio serio di retrocessione per la squadra. Infine, ho osservato le prestazioni di altre squadre. L’Atalanta ha dimostrato grande maturità contro la squadra di De Zerbi, che, devo ammettere, mi ha in parte deluso per via dei troppi passaggi sbagliati e per un’impressione generale di arroganza e sottovalutazione iniziale dell’avversario. La Roma, invece, si è dimostrata compatta e solida, ben guidata da Gasperini, con un Mancini in grande forma e un Artem Dovbyk decisamente interessante  e da rivalutare (ha fornito l’assist per il primo goal). Quanto al Napoli, preferisco sorvolare: troppi infortuni e decisioni discutibili sul mercato, come l'ultima cessione di Raspadori. Aggiungo che non mi convincono i post partita di Conte, nei quali sembra sempre dare la colpa ad altri, mai a se stesso. La sua è una  comunicazione  che alla lunga rischia di perdere credibilità, almeno secondo me. Fra tutte le squadre italiane che hanno giocato questa settimana, nelle varie coppe, e che mi ha  veramente impressionato per il loro modo di giocare e atteggiamento in campo, pur avendo visto solo spezzoni di partita, è stato il Bologna di cui ammiro profondamente l'ambiente, il mister, i giocatori e anche i dirigenti per il grande lavoro che stanno portando avanti. Hanno molte similitudini con il Como, altra società che, in barba a tutti gli scettici, stà dimostrando, quasi al di là dei risultati che comunque stanno arrivando e confermano il valore della squadra, di saper progettare con intelligenza e lungimiranza, guardando al lungo termine. Che dire! Queste sono mie considerazioni o meglio sensazioni da prendere con le dovute distanze.

GRAZIEEEEEEEEEEEEEEEE 

Misterezio

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