Fallire - l'errore -nella atività di base . Qualcosa è cambiato nei settori giovanili, purtroppo non in meglio.






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Chi  raggiunge traguardi ambiti, importanti e vince, è uno solo. Mi chiedo: "Tutti gli altri che arrivano dopo, secondi o ultimi  sono dei  perdenti?", non penso proprio. Chi vince  nello sport, che sia una squadra o un singolo è uno solo o la sola. Chi arriva secondo  è nella natura delle cose che non ha primeggiato, ma con questo non significa che ha fallito. Raggiungere il massimo obiettivo prefissato non è semplice da ottenere, anzi è complesso e influiscono tante variabili. Spesso anche i sacrifici non sono il  sinonimo di vittorie scontate. La perseveranza la "Resilienza" premia alla lunga ma sono  le  motivazioni interne  solide, la vera fonte . Ci vuole pazienza e continuità, umiltà e sacrificio e con grandi motivazioni interne per  prepararsi ad emergere e vincere. Nulla è dato per scontato. I stati d'animo negativi si presentano come guastatori sono autentici demolitori delle motivazioni. Infatti  fanno abbassare e demoliscono l'alto  livello delle motivazioni. Sono dentro di noi e sono  in agguato, smantellano le   motivazioni, rendendole  poco solide facendo emergere, l'incertezza, il dubbio di non farcela. Più è alta la soglia, il valore della resilienza personale, che manifestiamo  nei momenti di difficoltà meno si attivano i guastatori. Nelle ultime  generazioni la soglia di resilienza di fronte alle difficoltà si è molta abbassata. Non è colpa loro. La causa è da ricercare   in che  modo,  negli anni scorsi, abbiamo gestito la filosofia nei settori giovanili , nelle attività di base. La direzione presa, esagerando, è stata unicamente rivolta  nella  ricerca esasperata del rendimento inteso come voler ricercare la vittoria, il risultato a tutti i costi, esasperando l'ambiente del gruppo-squadra negli allenamenti e partite. Sottoponendo i giovani ad un eccesso di stress e tensioni che nulla hanno a che fare con lo sport.  I giovani, spesso incapaci di reagire di rielaborare, dopo una serie di sconfitte non giocano più. 

Da qui la comparsa del fenomeno negativo social sportivo del drop aut, cioè l'abbandono precoce da parte dei giovani dallo sport e dal calcio, causata principalmente dalla incapacità di rielaborare le sconfitte; spesso vissute come fallimento e un esasperato clima, creato dagli addetti al lavoro come mister dirigenti e genitori. In poche parole molti giovani non trovano più nello sport il piacere di trovare la valvola di sfogo o di divertimento, tutto è diventato troppo esasperato, pesante da digerire. 


Nel calcio giovanile da un po' di tempo respiro  una strana atmosfera, molte attività di base anche dilettantistiche agiscono solo al rialzo qualitativo, selezionando  e puntando solo alle vittorie, o alla ricerca del fenomeno, impedendo a far  venire i giocare ai ragazzi che vorrebbero iniziare a giocare a calcio. Fra l'altro spesso accade che  l'età in cui i ragazzi vengono a provare a giocare a calcio si è alzata e si aggira anche ai 10 anni, i tempi sono cambiati ma il calcio giovanile fatica ad adeguarsi. Ignorando l'origine di tutto:  il fenomeno storico sociale di molti anni fa chiamato

"IL CALCIO DI STRADA"

 in cui era permesso di giocare a calcio a tutti.

Forse  noi addetti al lavoro nei settori giovanili, abbiamo perso la bussola e l'orientamento, spesso incantati dai lustrini di false aspettative o da ambizioni proprie. Come stiamo allenando  oggi , non ci accorgiamo che  le motivazioni interne, che spingono il giovane a venire a giocare a calcio spesso sono poco convincenti e piuttosto basse. Il mister, che dovrebbe intervenire, per  solidificarle, invece le demotiva, come accade nei  frequenti processi o sensi di colpa , che il mister sottopone  il singolo o la squadra  dopo una sconfitta. Lo stato d'animo di repulsione del giovane continuare a crescere, così  la sconfitta viene   vissuta come un fallimento personale,  ed è inevitabile l'abbandono dal calcio. Spesso il ragionamento del giovane è sempre lo stesso: "Io non vengo più giocano sempre gli stessi". Forse lo ignoriamo o facciamo finta di capire che le sconfitte, sono al centro di cambiamenti che orientano progressioni e miglioramenti. Allenare nella attività di base ai ragazzi sicuramente è gradito vincere, ma il più delle volte la vittoria a loro insegna poche cose. A loro  importa giocare ed essere protagonisti. 


Le sconfitte incidono nella personalità e nella formazione del giovane giocatore sempre  in positivo, ne sono convinto. A condizione che il mister le gestisca con intelligenza emotiva. Le vittorie fanno  piacere agli adulti e ai genitori, ma ai ragazzi principalmente interessa giocare e fare parte del gioco e del gruppo squadra e vivere, relazionarsi con tutti gli elementi e valori che il gioco esprime, compreso il mister. Sono convinto che il valore positivo di rinforzo del mister anche  di esperienze e partite non andate a buon fine, consentono al giovane a progredire, di migliorare più velocemente. E' impensabile, poter vincere subito e   non passare da sconfitte e in insuccessi anche pesanti, indispensabili per apprendere e migliorare la personalità e le capacità. Sono anche occasione per mettere alla prova la propria capacità di resistere e comprendere. E' impensabile sfuggire al disagio  di una sconfitta , ma è una condizione  inevitabile. E' il mister e gli adulti in genere che sono l'ago della bilancia per aiutare al giovane giocatore a rielaborare in maniera positiva una sconfitta, in base a come reagiscono dopo un fallimento. Questo non accade sempre, anzi siamo noi adulti che mandiamo messaggi sbagliati che servono solo a creare ulteriori tensioni. Noi adulti dovremmo ricordare che le sconfitte equivalgono  a fare esperienze della vita stessa.



Negli ultimi anni e tutt'ora in molti settori giovanili o accademy hanno inventato una nuova bugia: "Far credere che da loro si vince  sempre e far carriera è alla portata di tutti..." oppure declamano  la frase:  "Oggi Bisogna vincere!! " ....Qualcosa non và! Ogni loro ragionamento ruota attorno al risultato. Se invece in maniera reale ammetiamo il conto di soffrire ad accettare la realtà che solo una piccolissima minoranza arriva al professionismo  e le sconfitte  fanno parte del gioco. Capire che le sconfitte fanno parte inevitabile del gioco,  forse è il caso di smettere di prendere in giro i nostri ragazzi. Un mister non si giudica dai trofei. Sono pochi che hanno la possibilità di creare o di allenare  una squadra ideale sulla carta vincente. Io penso che un mister, la sua competenza è misurabile dal valore qualitativo delle prestazioni della squadra  e dai miglioramenti dei singoli,  non certo dai risultati. Sicuramente queste mie personali affermazioni, per molti addetti ai lavori, danno fastidio. Mi è
 capitato di vincere alcuni campionati a livello dilettantistico. Io rimango molto più legato a ricordi e  sono i più limpidi quando ho perso, quando ho combattuto le avversità di sconfitte cocenti, ne sono sempre uscito vincente e ho raggiunto gli obiettivi che mi venivano proposti, sempre senza esasperazioni o esagerazioni. Così dovrebbe  accadere  nella attività di base,  le difficoltà e le sconfitte  devono rappresentare   un punto di partenza, rivolto al miglioramento e alla abitudine a mantenere e convivere con  "Il disagio" che la sconfitta porta con se' e avere la  forza e la convinzione  di  riemergere. La convinzione di potercela fare spinge in avanti. Nelle avversità esce il meglio dei ragazzi. Tutti vogliono essere protagonisti, vogliono vincere, ma ripeto vince uno solo. Più alleno   e più mi rendo conto che le vittorie fanno bene a tutti, ma durano poco e sono decisamente più formative e costruttive le sconfitte da cui scattano molte più reazioni e più stimoli, per migliorare. Ma la cosa sorprendente che la mia  passione di allenare,  probabilmente con  leggerezza e senza calcoli, mi ha portato ad allenare in  realtà  difficili. Spesso ho scelto di allenare senza chiedere ai vari presidenti  giocatori come rinforzo, ho preferito ottenere il massimo dai giocatori che avevo. Senza presunzione penso di esserci riuscito. Lo ammetto non è stato semplice, mi ha però  ha completato come mister e come persona. In poche parole ho capito quanti sono i ruoli ha il mestiere del mister e le molte sfaccettature e competenze che richiede. Mi considero un mister operaio umile ma determinato a raggiungere l'obiettivo di fare uscire " Massimo" da ogni giocatore. Vivo le sconfitte e le rielaboro senza minimamente pensare che siano fallimenti. Riparto sempre ad allenare e preparare al successivo incontro, da  quello che ho visto di positivo dalla partita precedente. Sono fermamente convinto che ci  sia, sempre. Dopo una sconfitta, rimango male e non lo do mai a vedere ai giocatori e poi il lunedì mi ricarico come una molla. Mi vengono nuove idee e proposte da proporre  ai ragazzi. Non sopporto il pessimismo cosmico; Spesso i mister si lasciano coinvolgere da quello che definisco il "Pessimismo cosmico" che si attiva dopo una sconfitta e molti mister ,incapaci, lo trasmettono al loro gruppo squadra. L'atteggiamento giusto è quello di accettare il confronto pur chè convinti di aver dato il massimo. Solo con il costante impegno e  sacrificio continuo si migliora, aumentando il senso di autoefficacia, di autostima. Il confronto, sia che si vinca o  che si perda, sarà comunque un momento di crescita personale. Se il giovane giocatore trova "AUTOMOTIVAZIONI" interne solide  giocherà a calcio a lungo, molto dipende dall'atteggiamento del mister...e di noi adulti. 
Dopo tanti anni ho capito la  differenza tra fare l'allenatore - selezionatore e  fare l'allenatore. Trovo in moltissime società e nelle attività di base  tantissimi: 
Allenatori- selezionatori che pensano solo a vincere o trovare il giocatore fenomeno
  io mi dissocio da questi  e penso "solo" ad allenare!
"NON NASCONDIAMOCI DIETRO AD UN DITO..."

Alla prossima!!😊
MisterEzio





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