La figura del 'mister'

Il termine inglese "coach" è spesso usato con un altro termine: "wagon" cioè carro, vettura. Il coach è letteralmente un veicolo che  accompagna un gruppo di giocatori  al raggiungimento della meta, i tre punti di campionato. Questo presuppone che ad ogni allenamento  e il metodo del mister (o coach) sia orientato alla ricerca del goal e quindi del risultato, senza però esserne ossessionato. La ricerca dei tre punti non va, a mio parere, esasperata ma dev'essere la naturale conseguenza della crescita dei singoli giocatori, del gruppo frutto della compattezza  fra giocatori in un clima sereno e  motivante .Il mister deve essere competente  e deve avere la capacità di preparare allenamenti con grande qualità, seguendo due concetti:
"Solo se c'è divertimento c'è apprendimento''
"Mi preparo per vincere"
In questo percorso l'allenatore, attraverso il suo intervento (osservazione, atteggiamento,.) mette il giocatore nelle condizioni migliori ideali ,  per esprimere al massimo le proprie capacità, al fine di raggiungere l'obiettivo di migliorare e  della vittoria. 
Ad esempio è importante che la squadra capisca che sotto l'aspetto tattico la porta va cercata già dal primo momento di gioco e che l' azione va conclusa con il goal: il mister non deve avere però seguire un metodo "direttivo" in cui il giocatore diventa un esecutore passivo delle indicazioni ricevute, ma un metodo "collaborativo" che richiede al giocatore continue riflessioni che gli permettono di affrontare "il nuovo" senza alcuna riserva. All'allenatore sono richiesti continui aggiornamenti sia per quanto riguarda le conoscenze relative alla preparazione fisica che per quanto riguarda le conoscenze psicologiche necessarie per sapere gestire una squadra. 



Penso che ignorare queste necessità sia un grosso errore di presunzione. Anche il carisma dell'allenatore può crescere se egli dimostra di essere preparato, di non improvvisare gli allenamenti e di trasmettere conoscenze che non derivano solamente dalla propria  esperienza di ex giocatore ma appunto da un bagaglio personale di conoscenze che viene costantemente aggiornato. A questo va aggiunta anche una buona dose di sano "buon senso" che non deve mai mancare. Penso si possa parlare di coesione tra giocatori e allenatore, quindi  di squadra, e di un gruppo veramente compatto quando i giocatori  "sposano" le idee dell'allenatoreQuesta è una prima sintesi di come dovrebbe essere preparato il Mister che allena nell'attività di base.
                                         
                                             MAI SMETTERE DI GIOCARE




Ci sono allenatori che nel gestire gli allenamenti o le partite usano in modo esagerato i rimproveri, le minacce talvolta anche le offese. A mio parere questi "metodi", se così si possono chiamare, nascondono una incapacità di risolvere un problema di gioco e conseguentemente anche la mancanza di una adeguata comunicazione: gridare e rimproverare senza dare un suggerimento porta a poco. Inoltre si pone il ragazzo in difficoltà e spesso assume un atteggiamento di autodifesa e non di ascolto.
Purtroppo c'è la convinzione che l'allenatore debba imporsi al gruppo con determinazione e freddezza e che per poter vincere ci debba essere disciplina e silenzio.
Questi atteggiamenti  nascondono, a mio avviso, una difficoltà da parte del  Mister nel gestire la squadra che si manifesta appunto con l'aggressione o l'imposizione qualora si verifichino problemi, difficoltà durante l'allenamento o la partita. Aggredire o alzare i toni, può far  credere alla squadra e a sé stessi di mantenere il controllo della situazione. Frasi come: "dove hai la testa?" e "fa' l'uomo" o ''Hai voglia di giocare?"ecc. Questa modalità di intervento di tipo esclusivamente direzionale rischia in verità di preparare e anticipare l'abbandono dello sport dei giovani.
L'abbandono dello sport da parte dei ragazzi attorno ai 10, 14 ma anche 18 anni è una realtà presente in molti settori giovanili. La causa di tale abbandono è anche da attribuirsi al comportamento del mister che  crea spesso una competizione esagerata tra i giocatori con effetti negativi per il gruppo. I giovani giocatori, non avendo ancora maturato pienamente la capacità di rielaborazione delle frustrazioni e dello stress, reagiscono  chiudendosi in sè stessi e creando i presupposti per l'abbandono dello sport, manifestando noia e stanchezza.
Quest'anno alleno giovanissimi e mi sto divertendo moltissimo. Ho notato che, rispetto ad una decina di anni fa, i ragazzi tendono maggiormente al protagonismo manifestando comportamenti spesso troppo egocentrici in cui appare prioritario primeggiare. La competizione è sempre troppo sentita e i ragazzi pensano che si possa e si debba vincere sempre. La sconfitta è per i ragazzi una grossa frustrazione difficile poi da controllare e da gestire. Si pensi che dopo una partita persa malamente con tanti goal in passivo, alcuni anni fa, alcuni dei miei esordienti (squadra che allenavo allora) al  ritrovo nell'allenamento del lunedì volevano fare sciopero contro il Mister (o forse contro la sconfitta). Essi probabilmente volevano in qualche modo modo manifestare una grossa frustrazione per la sconfitta subita. E' stato un segnale che mi ha fatto riflettere. Ricordo un'altra situazione di qualche tempo fa: un atleta  dopo una gara in cui era arrivato secondo, manifestava un motivata euforia e parlando con il proprio mister disse: "sono stato bravo, ho conquistato il secondo posto assoluto!" contento e sicuro di poter addirittura migliorare e puntare al primo posto. Incredibilmente il Mister seccato gli ha risposto: "Tu non hai conquistato il secondo posto, ma hai perso il primo!". Affermazione, a mio parere  esasperata e contro ogni valore sportivo. I valori sportivi, qualunque sport si pratichi,  devono essere sempre testimoniati.
Anche nell' ambito della attività di base si mette spesso in campo  ogni mezzo (anche sleale) pur di raggiungere l'obiettivo del massimo risultato: simulare e favorire  un rigore oppure strattonare  l'avversario per impedirgli di giocare,  provocare l'avversario con parolacce o quant'altro (magari anche tenendolo per la maglietta).  Credo invece, che ci debba essere un allenatore che abbia la voglia e la capacità di essere positivo e propositivo fortemente autorevole e poco autoritario: avere la capacità di creare le condizioni giuste per preparare il gruppo a vincere valorizzando i valori sani che lo sport porta con sè, uno fra tutti la lealtà. La forza di un gruppo  sta proprio nell'andare in campo "tutti assieme" ed essendo appunto il calcio un gioco situazionale dove c'è molta imprevedibilità, è proprio la forza del  gruppo la carta vincente che permette di raggiungere gli obiettivi prefissati.










Il comportamento del mister dovrebbe suscitare stupore da parte dei ragazzi, catturare la loro curiosità e stimolare la loro fantasia e creatività. Penso infine che nel gioco del calcio l'obiettivo non sia quello di creare un campione del domani o un fenomeno ma dare a tutti la possibilità di poter giocare senza la preoccupazione di essere isolati, emarginati, o peggio derisi, criticati dai compagni perché non bravi, ma di emergere o meglio di far emergere, attraverso il gruppo, le proprie abilità e capacità. Tutto ciò avviene solo se il  gruppo è compatto. Termino affermando che il mister vincente è colui che si pone in ascolto verso il giovane giocatore, con volontà di comunicare, parlare e accettando uno schietto e diretto confronto. E' la relazione interpersonale una prospettiva importante di crescita del giovane giocatore. L'atteggiamento più diffuso del Mister è caratterizzato da una posizione molto discutibile, fondata sul atteggiamento ''superiore (mister) e inferiore (giocatore)''. A parer mio chi educa (insegnando il calcio nella attività di base) non può sentirsi superiore, ma deve avere la capacità di anticipare, di proporre, tramite l'instaurazione del rapporto  interpersonale con il ragazzo, cioè di  "tirare fuori il meglio del ragazzo". Questo concetto riassume sicuramente la responsabilità maggiore del Mister.

''Invertiamo la rotta"


GRAZIE 

 MisterEzio

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